L’immergermi nella vita di studio mi ha fatto scoprire il piacere d’una vita sola, non tanto nella sua totalità, ma nel contemplare la domanda esistenziale personale che passa attraverso l’esercizio quotidiano (e di solitudine) di concentrazione razionale, di meditazione su ciò che si impara, ma che la risposta (il vero senso) può solo essere trovata in rapporto, nella vita con il prossimo e in/con Dio.

All’inizio facevo fatica in credere nella possibilità di trovare Dio dietro la teoria. Qui ho capito che ciò che vale non è essa ma la “TeorEtica”, che va oltre i modelli teoretici di auto giustificazioni in cui manca l’imprescindibile interesse nell’agire. Qui si cerca una vita di pensiero vincolata all’esercizio di condivisione, reciprocità.

Ma, pure consapevole di questa nuova realtà, non ero ancora in grado di trovare una risposta che rendesse bello, piacevole, lo studio. Non avevo nulla che mi portasse quel senso di divino, di realizzazione personale, che trovavo soprattutto (e magari esclusivamente) nei rapporti.

Rendermi conto di che era proprio lì, nascosto in questo “innamoramento” dai rapporti, che lo studio mi proponeva nuovi salti, nuove sfide, mi ha permesso di capire che potevo veramente avere la ricchezza di una conoscenza teorica maturata, illuminata, per così portare una luce più limpida alle persone.

Allora, studiare non era semplicemente un trovare risposte applicabili soltanto alla mia vita, alla mia felicità. Lasciava dall’altra riva del fiume la strumentalizzazione del sapere, che di maniera nichilista toglie il senso unitario delle cose e fa con che l’amore al sapere diventi prodotto “usa e getta”, che se serve per me lo tengo fino a quando non serve più e dopo lo butto via.

No, nell’esperienza di studio che faccio a Sophia il sapere è vera luce quando vive nella dinamica trinitaria di essere spesso silenzio, ascolto, ma altre volte parole, comunione. Da questa relazione vera, profonda, Lo Spirito, la luce, illumina la teoria e fa emergere Iddio che esiste in essa.

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Il mio cammino teorico, allora, è imparare a fare le domande giuste (a me stesso ed al pensiero che studio) perché soltanto così si arriva dove ci si vuole, anzi, dove ci si deve arrivare, facendo mia le parole di Agostino: “Cerchiamo ciò che dobbiamo trovare e cerchiamo ciò che abbiamo trovato”.

Ma le domande portano sempre qualcosa di dolore, perché spesso le domande giuste ci portano a delle risposte che non volevamo trovare, per paura, per egoismo. Ma è  un cammino che ci si deve passare. E che, personalmente, posso dire che vale la pena!