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Presentazione della tesi all’Istituto Universitario Sophia – 2 luglio 2012

Come premessa fondamentale io vorrei, innanzitutto, ringraziare quelli che mi hanno sostenuto e incoraggiato a seguire e superare questa importante tappa del mio percorso di studio.

Prima di tutto a Dio, chi mi ha dato sanità fisica e psichica [avrei dei dubbi] per avventurarmi per due anni in questo luogo sperduto della bella Toscana. La Sua luce ha sempre illuminato ogni passo e difficoltà che, in tanti momenti, mi pareva insuperabile.

Dopo ringrazio la mia famiglia, che oggi è rappresentata dai miei genitori. Loro due hanno attraversato l’Atlantico per festeggiare questo momento importante della mia vita. A loro io devo tutto. Insieme mi hanno sempre sostenuto con la loro fiducia, formazione umana e l’amore che i due testimoniano con la loro vita.

Ringraziamenti speciali anche a Flavia. Mia compagna di viaggio, amica dedicata, fidanzata amorosa e comprensiva, che con il suo sorriso incoraggiante mi ha continuamente spinto a non mollare, pure se spesso non riuscivo a trovare forze o motivazioni interiori.

Non potrei dimenticare il grande “grazie” ai fratelli di Tracolle, che si estende alle studentesse di Sophia, a tutti gli studenti delle prime generazioni, della mia e quella posteriore. Amicizie vere e profonde che porterò come segno vero di che quest’Istituto genera, in modo speciale, vita.

Una menzione particolare ai professori che, generosamente, hanno condiviso con entusiasmo parte della loro conoscenza. Mi permetto citare Piero Coda, Antonio Baggio e Vicenzo Buonuomo, che insieme a José Salvador Faro, della PUC-SP, sono rimasti come grandi esempi che hanno trasformato anni di impegno intellettuale in dono alla mia generazione.

Finalmente ringrazio tutti quelli dello staff, le famiglie di Loppiano, i giovani del Movimento del Focolari,la rete internazionale di comunicatori, NetOne, e tutti quelli che mi hanno accompagnato “da vicino” negli ultimi due anni.

Nel 2009, esponendo le idee del mio lavoro di laurea triennale a Urbano Nobre Nojosa, amico e direttore del dipartimento di giornalismo della Pontificia Università Cattolica di San Paolo [università che nel 1998 ha conferito a Chiara Lubich, fondatrice di questo Istituto, il premio honoris causa di Scienze umane e della religione] io sono stato

chiamato esistenzialista, perché, secondo lui, ero eccessivamente orientato dalle mie profonde credenze nell’essere umano.

Sicuramente, sono state queste credenze nell’uomo e nella sua centralità due dei principali motivi che mi hanno spinto a svolgere gli studi in comunicazione.

In un ambiente sociale drammatico come quello del mio paese, della classe sociale in cui sono inserito, dove i ragazzi devono crescere in fretta per avere le condizioni per pagare gli studi, formarsi a un mestiere, è difficile aver tempo per l’ozio, per riflettere sul senso di quello che si sta facendo. Bisogna fare, lavorare, sopravvivere.

Ingenuamente, io credevo che attraverso il giornalismo avrei potuto collegare le realtà distanziate paradossalmente dalla globalizzazione. Producendo informazioni mi vedevo partecipe della ricostruzione della struttura sociale, stimolando l’interesse reciproco fra le persone.

La scelta decisiva di studiare giornalismo, ha però un legame profondo con il dolore. Era il 2005 e, testimone oculare di un’Indonesia che cercava di ritrovare le proprie forze, dopo essere colpita da un tragico Tsunami, mi sono accorto della distanza fra quello che leggiamo quotidianamente nei giornali e ciò che succede realmente.

Quei milioni di vittime morte annegate dalle onde giganti, il profumo di cadavere ancora 6 mesi dopo la tragedia, mi sembravano una triste espressione di innumerevoli vite ignorate, trasformate in numeri, statistiche, fenomeno mediatico di passaggio. Quel grido doloroso di chi piangeva dopo aver perso tutto, non aveva capacità di trasformarci, colpirci interiormente, perché non VERAMENTE comunicato.

Volevo capire il perché di quel fenomeno e quando sono tornato a casa, in Brasile, sono entrato nell’università di giornalismo.

Durante quattro anni, rare le opportunità di comprendere l’uomo che si comunica. Poco rilevato il significato storico e filosofico dello sviluppo della comunicazione e dove l’essere umano è stato collocato in essi.

Alla fine del corso ho deciso di far vedere cosa l’università di giornalismo ha fatto con me, futuro giornalista. “Jornaleiros”, un documentario di 50 minuti, racconta il dramma di una formazione centrata su aspetti funzionali o riflessioni ideologiche che poco hanno formulato una coscienza etica e socialmente responsabile.

Anche se è stata importantissima la laurea di giornalismo, sentivo che ancora mi mancavano i fondamenti ed era chiaro che dovevo venire a Sophia.

In questo Istituto, oltre ad aver avuto una vita in certi versi “lussuosa” da “solo” studente, ho scoperto cosa significa impegnarsi nello studio, con quale dedizione ci si costruisce il cammino intellettuale e soprattutto che, senza riflettere, la vita può diventare soltanto una sequenza cronologica di fatti in cui ci si può dimenticare il senso dell’umanizzazione del mondo che avviene a partire dai nostri singoli atti.

Sophia mi ha dato tanti fondamenti per riflettere su una scienza che si rivolge all’uomo, mi ha fatto conoscere un Dio che si manifesta nella cultura, un’economia che si sostiene sulla comunione e una politica che crea legami fraterni.

Durante lo svolgimento della tesi, impossibile non vedere che tanti degli interrogativi riguardo la comunicazione, pian piano, tornavano. Però, a Sophia il mio approccio era ormai cambiato e le risposte si svolgevano attraverso una nuova metodologia, transdisciplinare.

Inserito in una dinamica di “vita e studio” ho cercato duranti i due anni di sviluppare le domande emerse alla fine della mia prima laurea.

Sono uscito dall’università in Brasile senza tante risposte esplicite, soprattutto a rispetto del compito ultimo del giornalismo nella società. Ed è stata questa la sfida che mi sono proposto nel lavoro che conclude il fruttuoso percorso trascorso a Sophia.

La domanda principale della tesi si rivolge alla possibilità di ricuperare la centralità dell’uomo in una comunicazione che si inserisce all’interno di una Società di massa che ha continuamente ignorato l’uomo nella sua triplice dimensione, che è la seguente:

scegliendo come titolo la comunicazione e la centralità dell’uomo, io cerco di confrontare due aspetti che confluiscano in una stessa realtà. Dallo stesso modo in cui l’uomo esiste in quanto capace di comunicarsi, la comunicazione solo si manifesta se espressione dell’essere umano che si relaziona con se stesso, con l’altro e con il mistero.

Il primo capitolo richiama l’etimologia del termine e fa vedere le conseguenze di una comunicazione che è inserita nella Società di massa. Le scuole presentate, quando rilette cercando di far emergere l’uomo, sembrano insufficienti per rispondere al compito ultimo del comunicatore. Bisogna, come afferma il teorico francese Dominque Wolton, ricuperare la dimensione normativa della comunicazione.

Dimensione normativa che non si esprime a partire da un insieme di regole che dettano cos’è e cosa non è comunicazione, ma che ricupera il senso etimologico che vede

la “actio” di condividere qualcosa, di mettere in comune, come fondamento della emissione e diffusione di ogni tipo di informazione.

L’antropologia filosofica emerge come scienza capace di presentare uno dei modelli di uomo con cui la comunicazione di massa deve interagire. L’uomo che è ragione, relazione e silenzio. Uomo che vive con gli altri nel mondo.

Senza una comprensione profonda dell’essere umano sembra non bastare la tecnica, senza l’uomo non esiste comunicazione.

Questa tesi è riuscita ad aprire la discussione sull’uomo come soggetto della comunicazione di massa. Ha potuto presentare alcune delle basi di questo importante approccio transdisciplinare fra la scienza della comunicazione e l’antropologia filosofica, fattore che riporta alla continuità di uno studio convergente fra le due scienze.

Però, la mancanza di uno studio antropologico approfondito ha limitato alcune delle relazioni che potrebbero essere osservate nel confronto con la scienza della comunicazione.

L’ultimo capitolo della tesi richiama l’importanza di una proposta teoretica che sia anche proponibile nella pratica. La disciplina scelta per l’analisi è quella con cui io ho trascorso gli ultimi anni, profondamente immerso, e che credo capace di proporre nuove forme di relazioni potenzialmente positive: il giornalismo.

A partire del suo percorso storico è possibile percepire nel giornalismo un concorrere all’inclusione sociale, la partecipazione collettiva della vita in società, della democrazia. Non per caso Chiara Lubich affermava che senza comunicazione aperta a tutti non si può raggiungere il mondo unito.

Però, gli sviluppi verso la responsabilità ed etica della produzione giornalistica hanno bisogno di un supporto comunitario, sociale, che renda possibile non soltanto l’emissione e diffusione delle informazioni che rispecchiano l’essere umano, ma che soprattutto sia strumento di coesione, condivisione fra persone, collegate nel mondo globalizzato.

Questa tesi solo presenta alcune delle questioni chiavi del problema che deve essere ulteriormente approfondito, affinché sia possibile trovare misure che rispettano l’indipendenza e la libertà del giornalismo nella sua interdipendenza con la società e il compromesso etico.

Lo scenario che si prospetta accenna a dei cambiamenti. Innumerevoli progetti di educazioni cercano di insegnare ai bambini del secolo XXI ad avere un rapporto positivo

con i mass media. Inoltre cresce la riflessione sul significato etico e responsabile del giornalismo, come è evidente nei progetti e negli incontri sul tema.

Alternative per la regolamentazione del mestiere accompagnano la crescente domanda di sforzi per fare costruire un nuovo giornalismo sulle base dei presupposti antropologici.

Finisco questa presentazione riprendendo l’ultima frase del documentario prodotto nella laurea triennale in cui il professore Silvio Mieli dice: “la morte di un tipo di giornalista e di giornalismo, non significa la morte del giornalista e del giornalismo nel suo complesso, significa una dimensione, una forma che si sta modificando”.

You look so much better when you smile Sophia!

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Finiti gli esami a 26 de maio de 2012 – UNIDOS EM ALGO MAIOR – Homenagem a Karina e Lucas tanti bei ricordi di quest’esperienza nuova, intensa, impegnativa, iniziata quasi due anni fa.

La settimana scorsa vissuta a Loppiano è passata troppo veloce, ma riuscire a superare questa tappa del mio percorso accademico è motivo di gioia e ringraziamento a Colui che ogni giorno fa sorgere e tramontare il Sole.

Specialissimo il soggiorno dalla famiglia Cardinali. Testimonio di semplicità, amicizia, rispetto. Passare questi giorni tra ragazzi (e Beatrice) mi ha fatto vedere quanto la vita sarebbe stata molto più divertente se avessi avuto uno o più fratelli.

Ora, allo stesso tempo che festeggio il successo negli esami acquistato con sudore, lotta, impegno, devo buttarmi 100% nella tesi per riuscire a finirla a tempo. Cerco di essere tranquillo e soprattutto di raggiungere l’equilibrio necessario per avere corpo e mente sani in questo periodo.

Tante volte sembra che è un po’ troppo gestire tante realtà, rendendo faticoso sostenermi il sorriso quando arriva la stanchezza e si sfumano le motivazioni. Però, insieme a Flavia, mi ricordo che vale la pena spendere l’energia per qualcosa di Vero e sorrido.

Fine dell’esperienza a Sophia

Fra qualche giorno io concludo una delle ultime tappe della mia esperienza a Sophia.

Quasi due anni fa sono partito dal mio paese, lasciato carriera, famiglia, cultura, credendo (e ancora ci credo) in questo progetto profetico e necessariamente “pericoretico” di VITA e Studio.

Passato questo periodo intenso, mi rendo conto di che sono arrivato con un bagaglio più pieno di esperienze di vita che maturazione intellettuale. Già nella mia prima scelta universitaria ho deciso di trovare un posto che mi formassi un giornalista essenzialmente umano, capace di guardare le relazioni e, solo dopo, con l’esercizio intellettuale, trovare i concetti capaci di universalizzare i tentativi personali di sintesi.

Sophia invece mi ha dato le basi che non ne avevo. Mi ha fatto conoscere una dimensione della mia esistenza, dell’ESSERE, che ancora non conoscevo profondamente.

Incontrare Dio, che pensavo esistere soltanto nei rapporti, attraverso lo studio è stato il dono più grande ricevuto da quest’esperienza. In ciò è stata “relativizzata” la certezza di che è la vita il più importante. “Vivere per capire”, però anche “Capire per vivere”.

Stare qua mi ha spinto a non guardare mai in maniera dualistica o dialettica la realtà. Il paradigma trinitario mette la relazione tra gli opposti non soltanto come fine, senso interiore della mia esistenza, ma come metodologia: “occhiale” che permette vedere il mondo da una nuova prospettiva, da riscoprire in ogni momento e durante tutta la vita.

Questo è il bello di Sophia, ma c’è anche un’altra dimensione.

Da quando sono arrivato a Loppiano avevo chiaramente dentro di me il desiderio di adesione a quello che Sophia si propone. Non soltanto superare con eccellenza gli esami, ma avere la stessa esigenza in tutti ambiti della vita: Pulire un bagno bene, cucinare, aver pulita la stanza e soprattutto costruire rapporti profondi, con la stessa passione che scoprivo mentre conoscevo meglio Aristotele, Galileo Galilei, Paolo di Tarso…

Però, qui, mi sono anche reso conto che, la reciprocità che il progressivo percorso di presa di coscienza intellettuale ci porta non si applica medesimamente nei rapporti umani.

Aderire a un progetto così utopico, intenso e psicologicamente problematico come quel di Sophia, ha chiesto di me, che sono cresciuto in una logica di scambio comunitario, una fatica enorme, ma immagina per quelli che non avevano mai fatto una esperienza del genere?

Nello studio l’incomprensione fa parte del percorso gnoseologico. Nella vita la “non relazione”, sperimentata nella pelle, ha delle conseguenze più dure, non solo per se stesso ma per tutto il contesto comunitario.

Vivere esige non solo il confronto con se stesso, ma ti mette davanti ad un vero ALTRO, che essendo fondamentalmente libero, determina – con le sue scelte – il contenuto della relazione, dell’esperienza nel suo Tutt’uno. Questo per me è stato il dramma di Sophia in quest’ultimo anno.

Sottovalutare lo sviluppo delle complessità di quest’aspetto ha messo l’università in una situazione di crisi, mettendo in questione un progetto formativo che è di STUDIO, ma parimente di VITA.

L’ammissione di soggetti che non hanno aderito profondamente questa sfida, senza un accompagnamento personale continuo, insieme alle difficoltà economiche che hanno fatto crollare le strutture che sostenevano l’ambiente “relazionale”, ha promosso una situazione estremamente difficile e di un livello di gravità conflittuale impensabile.

Io, personalmente, mi accorgo che l’esaurimento fisico e psicologico è arrivato al limite e anche se comunque mi sento chiamato a vivere fino in fondo anche queste difficoltà dovrò partire per motivi essenzialmente economici.

Dovendo pagare più di tre volte ciò che avevo pagato al primo anno di studio e non potendo assumere queste spese e neanche Sophia incontrando un’alternativa, ho deciso di proporre (avendo gli esami a posto) di scrivere la mia tese in Svizzera.

In questo modo, all’improvviso, finisce la mia esperienza da abitante ordinario.  

Certamente sono contento della decisione, tanto per avere la tranquillità psicologica nel finire le tappe conclusive dello studio (ultimi esami e tesi), quanto di poter stare vicino a Flavia in questo momento di preparazione per il nostro matrimonio. Ma entrambi sono provvidenze, impreviste, però accolte con gioia da me e da lei.

Ma infine, cosa rimane di Sophia oltre alle scoperte e la stanchezza? I rapporti.

Culturalmente, le difficoltà mi hanno sempre servito come richiamo ai rapporti. A Sophia sono stati i tanti momenti di comunione profonda, aiuto reciproco, scambio interessato di vita, che mi hanno sostenuto sempre, ridimensionato l’esperienza e dato forza per non mollare, ricominciare, avere misericordia, amare.

Questa è la ricchezza più grande che porto con me… segno sicuro di che è veramente possibile superare tutto se in qualche grado della nostra vita entriamo profondamente in rapporto con l’altro. Le persone, quelle che vogliono stare in relazione, sono state fonte infinita di Luce, di gioia, di sollievo.

Parto felicissimo di andare via, ma triste di non avere più la possibilità di far crescere (attraverso la presenza corporea) i rapporti costruiti. Però, dove ci sono persone, c’è sempre l’opportunità di pericoresi. Ora tocca La Svizzera.

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Perché studiare all Istituto Sophia ?

Durante il Congresso di Unità Arcobaleno e Bianchi, svolto a Castel Gandolfo l’ultimo fine settimana, alcuni studenti dell’ Istituto Sophia hanno cercato di testimoniare con esperienze la specificità dello studio immedesimato nella Cultura dell’Unità.

In questi quattro anni di vita dell’Istituto mi sono accorto che ancora esistono tanti pregiudizi – dalla parte di quelli che sono all’interno del Movimento del Focolari – frutto dell’ignoranza di cosa si fa a Sophia, tenendo conto della sua proposta specifica come scuola di studio e di vita.

Personalmente tanti di noi VIVIAMO nei nostri ambienti di studio e lavoro cercando di portare questa “nuova cultura”, detta “dell’unità”, però sembra che ancora pochi si sono accorti che esiste già un posto in cui si trova (e si costruisce) i fondamenti teorici che giustificano questa novità.

Dall’altra parte c’è anche la concezione personale di cosa significa l’Ideale dell’unità: Ci si può vedere Chiara Lubich «soltanto» come madre spirituale, strumento portatore di un Carisma che rende possibile un incontro individuale con Dio, cambiando la vita di ogni «figlio». Però è possibile anche adoperare un passaggio dall’ambito individuale a quello collettivo, vedendo lo stesso Carisma anche come possibilità di riposta culturale, capace di rinnovare la politica, l’economia, la comunicazione, il pensiero teologico, filosofico e ecc.

Sembra evidente che entrambi concezioni sono essenziali e complementari, ma studiare a Sophia è per me credere nel «progetto collettivo» che si nasconde dietro il Carisma dell’Unità, “incarnato” nell’esperienza di Chiara Lubich.

L’Istituto Universitario Sophia è luogo di studio. Di confronto culturale tra scuole di pensiero e la prospettiva “Chiariana”, che riprendendo il testamento di Gesù “Chi tutti siano uno” cerca di riproporlo come dinamica spirituale e principio sociale.

Chi crede in questo progetto devi venire a Sophia. Soprattutto per ridimensionare i fondamenti della propria formazione e poter suggerire nel proprio ambiente di studio/lavoro quel “nuovo”, assai atteso nel nostro mondo assetato di risposte, che noi, concretamente, lo troviamo quando viviamo “per l’unità”.

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