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Oltre l’Atlantico: un brasiliano in più immigrato in Europa

Oltre l’Atlantico

Mi chiamo Valter Hugo. Sono figlio di un paulista[i] e una pernambucana[ii] che immigrarono nella grande São Paulo[iii] con il sogno di una vita migliore. Dalla loro unione sono ormai passate tre decadi ed, insieme alle mie due sorelle, formiamo una tipica famiglia paulistana.

Presentazione propedeutica

Da piccolo sono stato innamorato delle parole. Dette o scritte, l’insieme di lettere mi è sempre sembrato un bellissimo strumento per conoscere meglio il mondo e gli altri con cui dovevo condividere la mia esistenza.

Il tempo e le esperienze mi hanno portato al giornalismo, mestiere che amo e cerco di svolgere in maniera critica e umanizzata, specialmente in un mondo in cui manca l’etica in questa professione, strategica per il futuro di tutti.

L’Africa, l’Asia, il mio Sudamerica e ora l’Europa mi accoglie per un periodo indeterminato. Mi sembrava opportuno fare di questo soggiorno un’esperienza di riflessione condivisa, oltre che la chance d’ esercitare il mio povero italiano.

Oltre l’Atlantico

Oltre l'AtlanticoTrasformare in parole un’esperienza che trascende il semplice concatenamento di frasi sarà sempre un affare assai limitato. Non ho certamente la pretesa di dare tutto, non perché non voglia, ma per l’oggettiva impossibilità.

Poi, oltretutto, è lo sguardo di un immigrante. Brasiliano, paulistano, che come tanti altri hanno attraversato l’Atlantico per amore, non per necessità o un sogno particolare. Essendo sposato con una cittadina europea dovevo essere pronto di lasciare le mie belle terre, il caldo culturale, per stare in un posto diverso di quello da cui sono abituato. Ma credo che sarà una bella impresa!

In questa sessione del escrevoLogoexisto, voglio mostrare ai miei amici stranieri come mi trovo qua in Europa, ma soprattutto in Svizzera, paese che mi ha accettato cordialmente.

Scoperte, riflessioni, esperienze. Cercherò di mantenere vivo lo sguardo fraterno. Critico, però senza giudizi infondati.

Saranno testi brevi, adatti alla fretta con la quale si vive qui. Poi, chiederò ai miei amici italiani di fare una revisione del testo, affinché sia almeno leggibile. Già da adesso li ringrazio di cuore.

Ecco! Presentazioni fatta. Nel prossimo testo vorrei parlare sull’esperienza con la dogana europea.

[i] Riferente a São Paulo, stato del Brasile o che è da lui naturale o abitanti. (Dizionario Houaiss)
[ii] Riferente a Pernambuco, stato del Brasile o che è da lui naturale o abitanti. (Dizionario Houaiss)
[iii] Spesso citata come San Paolo del Brasile, la città copre un’area di 1 523 km² (Zurigo: 91,88 km²) e hauna popolazione di poco superiore agli 11 milioni di abitanti (IBGE/2010) – in tutta la Svizzera sono 8 milioni; è quindi la più vasta e popolosa città dell’Emisfero australe e una città globale. (Wikipedia)
Revisione by Edoz

Mezz’anno

metade_do_planeta_mercurio-normal

La luce che mi viene d’incontro ora

È amplificata da sorrisi interiori.

Passano i giorni, sono ormai sei mesi.

E camminiamo insieme, senza timore.

 

Tu, meraviglioso altro, da scoprire sempre

Scelte, valori, corpo, cuore e mente.

 

Il tempo passa veloce e l’amor è un immenso fuoco

Dove ci riscaldiamo contenti, senza perdere lo scopo

Di continuare ad amarci e diffondere questa realtà,

Riconoscendo i nostri limiti, camminando con sincerità.

 

Ti sposerei di nuovo, mi muovo, sempre verso te,

Fontana di vita, immensa la sfida, rimani (per sempre) con me.

 

Mezz’anno e quasi famiglia.

Amica, moglie e pure figlia.

Quero você todo dia!

Ti offro questa poesia.

NetOne – 19° MEETING ONLINE – VALTER HUGO MUNIZ

ValterHugoMuniz

Bastano buone notizie?

(Intervento al Meeting Online del 9 Novembre 2012 – Link ufficiale qua)

Da alcune settimane nella lista Frat&Mídia di cui faccio parte abbiamo discusso con entusiasmo attorno alla nascita di un sito che si propone di dare soltanto buone notizie, Sónoticiaboa (solo buone notizie).
Per chi non lo sapesse, Frat&Mídia è un gruppo di comunicatori brasiliani, di varie competenze, legati a NetOne. Noi crediamo che la fraternità possa essere la via per una comunicazione capace di trasformare la società in meglio.

Fra quelli che erano a favore di Sónoticiaboa e quelli contro, io ho cercato di esprimere la necessità di un cambiamento di focus nella discussione: in un ambiente massmediale che propone soltanto notizie negative, sono davvero necessarie, in maniera esclusiva, solo delle buone notizie?

Ho da poco concluso un master al giovane Istituto Universitario Sophia di Loppiano, dove, fra le metodologie adottate, è proposto un ritorno ai fondamenti di ogni disciplina per ritrovarne il vero significato. Alla luce di questi studi, ho cercato, anzitutto, di far vedere che la finalità del giornalismo è costruire legami,communicare, creare relazioni.

Ora, se il giornalismo (con i giornalisti) non guarda alla relazione e agli essere umani, ma solo alla notizia, esso rimane fondato sulla libertà di stampa. La libertà fu il primo pilastro della stampa moderna, nata nel periodo dell’Indipendenza statunitense attraverso la Teoria Libertaria della stampa; ma tante volte essa diventa la giustificazione per una metodologia immorale con scopi apparentemente positivi. Ne è stato un esempio lo scandalo di News of the World l’anno scorso, frutto della forza dei grandi gruppi massmediali. Si è fatto uso della libertà di stampa e di un giornalismo “sotto copertura” non per cercare di produrre informazione di qualità o per condurre inchieste a beneficio del bene comune, ma per scoop e gossip con fini puramente commerciali.

Tutto ciò mi rafforza nel pensiero che, quando si parla di giornalismo come uno strumento delcommunicare, del creare relazioni, non dovrebbe essere la notizia l’oggetto centrale, l’interesse principe, ma l’essere umano.

Il sito Sónoticiaboa avrebbe come scopo quello di trasmettere notizie buone, positive, che ridiano entusiasmo alle persone e facciano vedere che il mondo può essere diverso.

Certamente l’intenzione è positiva, l’obiettivo punta lo sguardo sul bene dell’altro (almeno in teoria). Ma, personalmente, ho il timore che la nascita di un sito così e la diffusione della necessità ‘idealista’ di ricevere ‘buone notizie’ sia un’altra lettura ideologica dell’informazione, come quella su cui si basa la diffusione di notizie negative, e che entrambe le visuali possono essere centrate solo su fini commerciali.

Sinceramente non mi sembrano indispensabili le buone notizie. Guardando l’essere umano e pensando ad un giornalismo che ne aiuti la realizzazione nella sua piena integrità (nel rapporto con se stesso, dentro il suo ambiente comunitario e nella sua trascendenza), io credo che abbiamo bisogno, anzitutto, di notizie ben comunicate, contestualizzate, perché la realtà, il quotidiano nella sua complessità, deve essere compreso tanto nei punti luminosi, quanto in quelli bui.

Mi sembra interessante che il sito abbia l’obiettivo di rinnovare la speranza delle persone, perché siamo arrivati ad un punto in cui il giornalismo ha raggiunto il suo massimo di “non servizio”, lavorando per i propri interessi commerciali e ideologici. Ma questo non è il giornalismo per eccellenza, non è il giornalismo come movimento o espressione collettiva di cambiamento, che guarda sempre all’essere umano, al suo benessere individuale e comunitario.

Tra gli esempi che si avvicinano a questa proposta di buon giornalismo c’è il Jornal da Cultura, della TV statale brasiliana, che almeno come progetto cerca non solo di informare, ma anche di contestualizzare le notizie, discuterle, permettendo al telespettatore di cogliere il buono e il cattivo che esse esprimono.

Ma la domanda in discussione a Frat&Mìdia resta aperta:

CI VOGLIONO GIORNALI CHE DIFFONDONO SOLO BUONE NOTIZIE OPPURE GIORNALI CHE DIFFONDONO BENE LE NOTIZIE?

Cosa ne pensate voi?

 

Paura (ma io ci sarò)

Ciò che ti fa normale è la paura

Dell’attesa pienezza

Necessaria sicurezza

Che però l’altro non ti può dare

Paura di ciò che si lascia

Dolore di quel che si perde

Angoscia d’una città di mattoni

Terrore dell’assenza di verde.

Paura di dover camminare sola

Di addirittura non trovarsi ancora

E della distanza di ciò che conforta

Non avere Quel ciò che importa

Paura (però) che pure se viene

La vivremo abbracciati, saremo insieme

E quando non ci sarò e ti sentirai sola, non tormentarti

Quel che ci ha unito, ti starà vicino, farà la sua parte.

L’impotenza di Dio alla Luce di Auschwitz: un’interpretazione della tesi di Hans Jonas

Recentemente ho finito di leggere Il concetto di Dio dopo Auschwitz[1] del teologo tedesco di origine ebrea, Hans Jonas.

L’opera breve di lettura “teologico – filosofica” cerca di ripensare Dio dopo la tragedia dell’Olocausto.

Per capire il significato della sua opera e affrontare insieme a Jonas il “nuovo” concetto di Dio emerso dopo Auschwitz è necessario, anzitutto, fare una doppia differenziazione che delinea la frontiera fra ebraismo e cristianesimo.

Prima di tutto il modo come Dio si manifesta nella storia. Mentre per i cristiani il luogo di incontro definitivo con Dio si darà nella vita eterna, per gli ebrei Dio è, innanzitutto, Signore della storia, che agisce direttamente in essa, intervenendo (e sopratutto punendo) se e quando necessario.

Dopo è importante non confondere l’ontologia di Dio, cioè, la sua essenza, che è intrinsecamente onnipotente, con il suo agire storico. Ontologicamente Dio sarà sempre onnipotente, ma con la creazione Lui concede, seguendo il pensiero di Jonas, una parte della sua potenza al Creato, manifestandosi poi con e attraverso esso.

Fatte le premesse ci si può entrare nella tesi del libro dove il dramma dell’Olocausto mette in discussione la visione ortodossa ebrea del Dio onnipotente “profondamente buono e conoscibile (comprensibile)” e un Dio che “ha rinunciato la sua potenza” “concedendo all’uomo la libertà”.

Interessantissimo il ragionamento logico di Jonas che genera il dilemma sull’onnipotenza di Dio e il libero arbitrio del Creato. Un Dio onnipotente nel suo agire nella storia – che interviene per esercitare la Sua volontà sul mondo –  non permetterebbe che l’uomo fosse veramente libero di scegliere fra bene e male, essere vero co-creatore della storia[2].

Alla luce dell’evento di Auschwitz il concetto di Dio basato sulla Sua onnipotenza cambia. L’onnipotenza nell’agire storico di Dio viene condivisa con il Creato che passa ad essere capace di determinare gli avvenimenti, condizionandoli alla sua scelta.

Perciò Auschwitz non può essere vista come punizione del Dio onnipotente agli uomini, ma il risultato della scelta drammatica del Creato per il male, perché se Dio è veramente buono, non permetterebbe la più grande disumanizzazione della storia[3].

Per Jonas, il silenzio davanti all’Olocausto è manifestazione della “impotenza” di Dio, che rendendo l’uomo veramente libero, “non può” intervenire direttamente quando l’uomo cade nell’errore[4].

Quello che Jonas opera, da teologo-filosofo ebreo, secondo me, è un vero incontro concettuale del Dio cristiano e quello ebreo. Come nel cristianesimo Dio è umanizzato, nella misura in cui è “sofferente, divenente e che prende cura” del Creato[5].

Per i cristiani Dio si incarna nel Cristo e attraverso Lui, nel Suo abbandono e risurrezione, tutta la storia viene resinificata, nel passato, presente e futuro. In questo modo anche il dramma della guerra e ogni scelta del male sono trasformati, per mezzo della manifestazione di Dio (non sempre visibile in maniera diretta), in un bene maggiore generando anche la coscienza della potenza degli uomini, tanto per il bene e per il male.

Un Dio che decide donare la sua onnipotenza storica non lascia però di agire nel mondo, ma attua in nuovi modi. È il Dio della comunione, condivisione, co-creazione, cioè, di un operare INSIEME a noi, lasciandoci però liberi per esercitare la nostra volontà.

Si potrebbe poi comprendere, a partire della lettura de Jonas, che davanti al male, come nel caso dell’Olocausto, noi dobbiamo chiederci non “dove è Dio” ma “cosa abbiamo (ognuno) fatto affinché il male sia emerso”.

Con la creazione, l’azione storica di Dio si dà in maniera molto più silenziosa, permettendo addirittura che gli uomini ignorino la Sua presenza, per non condizionarli, rendendoli veramente liberi.


[1] H.Jonas. Il concetto di Dio dopo Auschwitz, Il Melangolo, Genova, 2004.

[2] pp.31-32.

[3] pp.34.

[4] pp.35.

[5] pp.27-30

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