chiarapiero

Due volte la settimana i Sophiani sono invitati a mangiare il pranzo nella mensa dell’università. Certamente, in sé, non c’è nulla di speciale in mangiare con tante persone in una mensa. Questo ogni studente universitario ci si può permettere fare nel posto in cui studia. Ma l’interessante è che, a Sophia, è proprio nella semplicità delle esperienze e dei momenti vissuti “in comunità” che ci si vive le cose più belle.

Con questa “strana” semplicità, un martedì come tutti gli altri, ho preso il mio piatto, senza accorgermi che i tavoli erano già apparecchiati. _Quale posto scegliere? Con chi mi siedo? Potrei stare accanto ad una buddista thailandese, con un fratello di Manaus, con una allegra ragazza dei Castelli Romani, con un’insegnanti di genesi del pensiero scientifico… Ma no, questa volta no! Questa volta mi permetto essere con un’amica d’infanzia, qualcuna con cui avrei potuto parlare più di me stesso, senza spiegarmi troppo, perché c’è già una conoscenza precedente. Ecco! Proprio questo!

Dopo aver preso il cibo (di solito pasta, pollo, patate e la stessa insalata) mi siedo e mi trovo, oltre a questa grande amica, con il preside dell’università, la sua assistente e due studenti di dottorato. Cosa io potrei dire essendo con quattro teologi di alto livello? Io e la mia amica eravamo “ben messi”, ma lo stupore, tipico dell’atmosfera sophiana, è che nella “nostra” università, ci sei rendi sempre conto di che nei rapporti fra noi i “titoli” spesso non hanno molto valore.

Abbiamo parlato un po’ su tutto, raccontato esperienze personali. “Come va il Genovevo?”, chiese il preside alla mia amica. “Molto bene, oggi è il suo compleanno”, rispose con un bel sorriso in faccia. Quella mezz’ora fra loro mi faceva staccare di me stesso, mi permetteva entrare nell’altro e cogliere quello che avevamo di più semplice, più bello!

“Vi ho già raccontato la storia del panino?”, domandò il preside a noi. “Quella che hai raccontato quando c’era il Gran Rabbino di Ginevra?”, risponde con un’altra domanda l’assistente. “Sì, allora vi racconto”.

(…)

Piero andava ogni giorno al suo lavoro sentendo una bella musica orchestrata, al volume massimo. La musica entrava in cuore attraverso quegli accordi di armonia celeste, meditazione anche lì per lui, focolarino e prete in cammino verso l’università, dove faceva l’insegnante.

Ma quel venerdì, non aspettava che Chiara l’avessi chiamato. Non aveva potuto pranzare con tutti gli impegni e sarebbe dovuto andare subito dopo le lezione a casa sua, fatto che sicuramente non lo toglieva la pace, perché era sempre speciale stare con Chiara.

Arrivando a casa sua, in un salottino, cominciarono a parlare. A focolarina voleva raccontare una bella provvidenza arrivata per la costruzione del santuario a Loppiano, ma prima di cominciare ha guardato Piero negli occhi e chiesto: _ Piero, sei stanco? Senza voler ammettere, Piero ha negato, ma è stato intrapreso con un’altra domanda: _ Hai fatto il pranzo oggi? Lì non poteva nascondere. Aveva lavorato tantissimo ed è mancato il tempo per mangiare. _ Popa, potresti portare qualcosa… hum… quel grande panino che c’è in cucina, con burro?

Dopo alcuni minuti un’altra focolarina è entrata in salotto con un immenso panino. Amore materno, semplice, sophiano.