Month: September 2011

Reticência

Sob a brisa temperada helvética, a decisão definitiva

Regada de versos e uma sublime alegria cantada

Calor sereno, conquista sonhada

Realização que minh’alma já intuía.

Felicidade buscada no cotidiano.

Sonho também de quem teme escrever poesia.

Porém o medo é condição pra se ter confiança

Realizar algo que, sozinho, ninguém alcança.

Mergulho no Leman de frescor límpido

E vejo as verdades que quis mentir pra mim mesmo

A união que jamais pensei possível

Agora é amor real, intenso, impávido.

Festejemos o «primeiro SIM» de muitos

Incomensurável alegria que não é ciência

Passarão as estações e estaremos sempre juntos

O aparente ponto final, era somente reticência…

Il prete e la donna

chiarapiero

Due volte la settimana i Sophiani sono invitati a mangiare il pranzo nella mensa dell’università. Certamente, in sé, non c’è nulla di speciale in mangiare con tante persone in una mensa. Questo ogni studente universitario ci si può permettere fare nel posto in cui studia. Ma l’interessante è che, a Sophia, è proprio nella semplicità delle esperienze e dei momenti vissuti “in comunità” che ci si vive le cose più belle.

Con questa “strana” semplicità, un martedì come tutti gli altri, ho preso il mio piatto, senza accorgermi che i tavoli erano già apparecchiati. _Quale posto scegliere? Con chi mi siedo? Potrei stare accanto ad una buddista thailandese, con un fratello di Manaus, con una allegra ragazza dei Castelli Romani, con un’insegnanti di genesi del pensiero scientifico… Ma no, questa volta no! Questa volta mi permetto essere con un’amica d’infanzia, qualcuna con cui avrei potuto parlare più di me stesso, senza spiegarmi troppo, perché c’è già una conoscenza precedente. Ecco! Proprio questo!

Dopo aver preso il cibo (di solito pasta, pollo, patate e la stessa insalata) mi siedo e mi trovo, oltre a questa grande amica, con il preside dell’università, la sua assistente e due studenti di dottorato. Cosa io potrei dire essendo con quattro teologi di alto livello? Io e la mia amica eravamo “ben messi”, ma lo stupore, tipico dell’atmosfera sophiana, è che nella “nostra” università, ci sei rendi sempre conto di che nei rapporti fra noi i “titoli” spesso non hanno molto valore.

Abbiamo parlato un po’ su tutto, raccontato esperienze personali. “Come va il Genovevo?”, chiese il preside alla mia amica. “Molto bene, oggi è il suo compleanno”, rispose con un bel sorriso in faccia. Quella mezz’ora fra loro mi faceva staccare di me stesso, mi permetteva entrare nell’altro e cogliere quello che avevamo di più semplice, più bello!

“Vi ho già raccontato la storia del panino?”, domandò il preside a noi. “Quella che hai raccontato quando c’era il Gran Rabbino di Ginevra?”, risponde con un’altra domanda l’assistente. “Sì, allora vi racconto”.

(…)

Piero andava ogni giorno al suo lavoro sentendo una bella musica orchestrata, al volume massimo. La musica entrava in cuore attraverso quegli accordi di armonia celeste, meditazione anche lì per lui, focolarino e prete in cammino verso l’università, dove faceva l’insegnante.

Ma quel venerdì, non aspettava che Chiara l’avessi chiamato. Non aveva potuto pranzare con tutti gli impegni e sarebbe dovuto andare subito dopo le lezione a casa sua, fatto che sicuramente non lo toglieva la pace, perché era sempre speciale stare con Chiara.

Arrivando a casa sua, in un salottino, cominciarono a parlare. A focolarina voleva raccontare una bella provvidenza arrivata per la costruzione del santuario a Loppiano, ma prima di cominciare ha guardato Piero negli occhi e chiesto: _ Piero, sei stanco? Senza voler ammettere, Piero ha negato, ma è stato intrapreso con un’altra domanda: _ Hai fatto il pranzo oggi? Lì non poteva nascondere. Aveva lavorato tantissimo ed è mancato il tempo per mangiare. _ Popa, potresti portare qualcosa… hum… quel grande panino che c’è in cucina, con burro?

Dopo alcuni minuti un’altra focolarina è entrata in salotto con un immenso panino. Amore materno, semplice, sophiano.

[vidaloka] Estar aonde se deve estar!

Denominei [vidaloka] todos os textos que de certa forma transformam minha realidade exterior (pessoal e geograficamente). E já faz 15 meses que deixei as “terras de palmeiras onde cantam os sabiás”, para descobrir cada vez mais profundamente minhas origens antropológicas, teológicas e cientificas, no continente que transformou história do meu povo, do meu país… e a minha vida.

Neste período transformei-me, não só intelectualmente, mas dei passos definitivos em direção a minha felicidade, que paradoxalmente redescubro no dar mais de mim àqueles que estão ao meu redor, a uma “donna” em especial.

Concluído o primeiro ano do mestrado começou um caminho novo de descobertas únicas, maravilhosas, que parecem concluir uma etapa da minha vida. A viagem ao Brasil, os reencontros, conversas nos trouxeram hoje, aqui, onde deveríamos e eu queria demais estar.

Difícil não olhar para trás emocionado com tantos relacionamentos edificados pelo amor. Ação mais construtiva do ser humano. Impossível não pensar em todas as pessoas queridas que participaram intensamente da minha vida… com sorrisos, abraços e reprovações… sem elas não estaria aqui.

E depois… parece lógica a felicidade. No acreditar, no viver o “impossível”, jogando-me nos braços do Truta e saber que, no final das contas, estamos/vivemos em constante co-criação.

[vidaloka] essa minha… e putz… melhor ainda porque é sempre mais nossa.

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