La riflessione sulla diversità culturale non è sempre sviluppata attraverso un approccio simmetrico. Nell’Europa occidentale e negli USA il colonialismo culturale per mille anni si è creduto l’unico vero cammino per il progresso dell’uomo.

Però, ciò che la storia testimonia è, altro che uno sviluppo della persona, in tutte le sue molteplicità, è stata realizzata l’assolutizzazione dell’individuo, slegato addirittura della propria cultura e indirizzato ad una “pseudo cultura” basata sulla libertà e i diritti individuali.

Da brasiliano, mi trovo sempre condizionato quando cerco di analizzare la mia cultura. Siamo stati colonizzati dal rifiuto sociale europeo (banditi, indebitati, criminosi) che, nelle sue origine, volevano soltanto estrarre e esplorare le ricchezze del Nuovo Mondo, per arricchirsi individualmente.

Immisurabile le uccisioni degli indigene, degli africani che sono stati fatti schiavi e innumerevoli le occasioni con lo scopo di “silenziare” quel popolo nascente che cercava un’affermazione culturale.

Allora, non si può parlare di cultura, di sviluppo e neppure di conflitto, se non si impara a guardare “nello stesso livello” le altre culture e si cerca di capirle profondamente, scoprendo le sue origini. Nel gestire i conflitti ci sono tantissimi condizionamenti che solo ci rendiamo conto quando usciamo del nostro “quartiere” e ci mettiamo in rapporto vero e profondo con “il diverso di me”, e che perciò mi “ferisce”.

La mia cultura ha imparato a gestire i conflitti in modo pacifico e creativo. Anche se abbiamo diversi scontri per conto della disuguaglianza sociale (anche questa nella radice storica del paese), ma in modo speciale per la mancanza di una radice etica nella sua propria struttura di formazione, siamo conosciuti in tutto il mondo per la nostra generosità, accoglienza e tolleranza ai diversi tipi di cultura.

Quello che magari possiamo portare al mondo è il rispetto alla diversità, l’armonia (non perfetta) tra diverse culture che si mischiano, senza perdere la loro identità originaria, e che si fanno “brasiliane”.

Però, purtroppo, anche questo dato importante della nostra cultura, viene tante volte vissuto in maniera superficiale. Non si va a fondo nella realtà e nei paradossi altrui e così anche la bellezza costitutiva diventa quasi ideologica.

La cultura dell’unità è un invito vero al conoscere profondo (e vero) dell’altro. Non basta sentirsi bene, accolto, rispettato nella diversità. È necessario un incontro vero, comunitario, direi FISICO, tra i diversi, perché i conflitti siano affrontati in modo positivo e come un scambio complementare.

Personalmente sperimento questo nel rapporto d’amore (Eros e Agape) con la mia ragazza. Essendoci di culture diverse (Brasile e Svizzera) abbiamo la sfida costante di crescere insieme in questo scambio pari e rispettoso. Ciò che la cultura dell’unità ci aiuta è nel vedere la difficoltà e i limiti reciproci come un invito a conoscere sempre più profondamente l’altro. Non volendo evitare lo scontro, il conflitto, ma cercando di guardarlo come opportunità vera di complementarità esistenziale.

Però, c’è bisogno di apertura, coraggio, perseveranza virtù (nel senso classico), che si acquistano nell’esercizio costante di camminare verso l’altro.